MOSTRA FOTOGRAFICA dell'artista Sara Shelly Graziosi.
29 ottobre - 5 novembre 2015
Orario: 11:00 - 19:00
Vernissage: venerdì 30 ottobre ore 19.30
L'artista, fotografa e tatuatrice Sara Shelley Graziosi vi dà il benvenuto al suo incredibile Circo delle Vanità: avrete modo di vedere la metamorfosi della figura femminile, l'espressione della sensualità legata al gioco, la mascherata e la tortura, l'ambiguo e il sorprendente. Il tutto attraverso l'occhio meccanico della macchina fotografica coadiuvato dall'occhio umano dell'artista, dal suo gusto vivace e dal suo stile voyeuristico.
Il circo è per definizione uno spettacolo basato sul lasciar stupito lo spettatore, intrattenerlo, divertirlo e lasciare che assista a cosa mai viste. Inoltre nel circo, come nel teatro, esiste un dato essenziale: la presenza della maschera o del trucco per creare il personaggio.
L'occhio – reale e mascherato – dell'artista presenta una vera e propria sfilata di quelle che possono essere considerate le sfumature di un'integra complessità femminile, compresa la parte inevitabilmente vanesia che si crea nel momento in cui una donna fotografa un'altra donna.
Nella prima sala la mostra si presenta nella più tradizionale forma circense: la tenutaria, l'artista, si presenta al suo pubblico e accoglie i visitatori con una serie di "sorrisi", una sfilata di labbra che vanno dall'ammiccante allo spiritoso, restando sempre in linea con il loro ruolo di parte fondamentale del corpo femminile. Le prime sfumature delle donne di Sara Shelly prendono forma proprio dalle labbra, partendo da un dettaglio per cominciare a creare una donna, non solo nella sua fisicità, ma anche nella sua complessità.
Nella seconda sala si svolge il tema della masquerade, dell'ampliamento dell'identità femminile attraverso la maschera dipinta su viso: l'artista sceglie la bambola, figura che durante l'infanzia invece di rassicurarla, le metteva paura e crea un legame tra l'oggetto e la donna reale: la bambola è l'ibrido tra una figura inerme ed una persona vera, è una donna il cui corpo è a disposizione per farsi ritrarre, per assumere pose inusuali e ruoli insoliti (come la donna gatto che beve dalla ciotola).
Inevitabilmente si descrive anche il rapporto tra la fotografia e la modella, in quanto quest'ultima è per un lasso di tempo, come un automa nelle mani dell'artista. Accanto alla bambola, troviamo la figura di Pierrot, una versione che gioca non solo con la sua ambiguità di bianco e nero, ma anche con il far interpretare un personaggio maschile da una donna. Dal dettaglio delle labbra si passa ad una prima immagine femminile, una donna truccata che gioca con il viso e con il corpo, che si lascia ritrarre e che invita lo spettatore (insieme all’artista) a svelare quante identità sono tenute sotto il cerone.
Continua al piano di sotto…
Questo secondo piano della mostra si articola in quello che può essere considerato il circo "nero" delle vanità. Qui l'artista mette in scena i lati più estremi che si raggiungono quando la vanità sfugge al controllo, quando il piacere diventa pericoloso o quando semplicemente il corpo di una donna si risveglia e si mostra in tutta la sua pienezza. Dopo il dettaglio delle labbra e il trasformismo della masquerade viene presentata l'esplorazione del corpo che raggiunge la sua parte più mostrativa e se vogliamo anche viscerale, senza mai essere volgare o cruenta.
La bellissima modella con i segni sulla pelle mostra una femminilità sensuale, caratterizzata prima dai dettagli del suo viso che non si scorge mai del tutto, e solo in un secondo momento, dalle impronte delle corde che non lasciano capire se si tratta di una pratica di tortura o di piacere. Così come le donne avvolte nel cellophane, le cui espressioni non svelano se il loro grido silenzioso sia di aiuto, di dolore o di altro. I visi e le posizioni delle foto presenti in sala conservano al loro interno uno stato di sottile duplicità nei loro intenti e nei loro significati.
Senza essere un legame diretto, queste immagini fanno pensare ad alcune performance della body art in cui gesti romantici, melanconici ed estremi richiedevano questa straordinaria capacità del corpo e del viso di trasmettere sofferenza e passione insieme. Tuttavia qui, a differenza dell’effimerità di quelle azioni, la fotografia mette la scena a disposizione dello spettatore che guarda ed ammira, rinnovando la componente di vanità all’interno del circo.
L'elemento del sangue è il massimo dell'espressione della vita del corpo femminile, ma anche qui si oscilla tra la possibilità che si tratti di sangue mensile o di altro tipo, ad esempio quello di una ferita aperta. Ciò che nell’insieme sono le immagini di questo secondo piano è un'ulteriore evoluzione della figura di donna: da automa, bambola, oggetto è divenuta una figura viva, carnale e sanguigna, un essere vivente che prova dolore o che addirittura desidera farselo provocare.
Infine, non poteva mancare una piccola sezione dedicata al circo vero e proprio, non solo più in senso figurato. L'artista si dedica ad un tema nuovo, vivace, spiritoso seppur affascinante e in cui sempre si gioca sul tema dell'ambiguo, del mascherare e dell'essere qualcun altro. Il mondo artistico di Sara Shelly Graziosi è un mondo reale seppur in maschera, divertente ma carnale che emana dal suo interno un realismo autentico e una bellezza spontanea anche quando l'artista la manipola. Come diceva Oscar Wilde, "Datemi una maschera e vi dirò la verità".
Francesca Basso